A cura di Vanna Pina Delogu

Garthmann: uno studioso svizzero a Sorso

La parlata locale come risorsa culturale: Sorso e Christian Garthmann.

Verso la metà degli anni Cinquanta del secolo passato, il glottologo tedesco Max Leopold Wagner affidò ad un suo allievo, lo svizzero Christian Garthmann, il compito di studiare il dialetto di Sorso, come argomento della tesi di laurea dal titolo Die Mundart von Sorso,2 una copia della quale è conservata nella Biblioteca comunale “Salvatore Farina” di Sorso.

Si tratta di un lavoro che esamina il nostro dialetto sotto tutti gli aspetti e tiene conto delle interferenze che intercorrono tra la parlata di Sorso, quella di Sassari, di Porto Torres e di Stintino. Dalla sua analisi puntuale ed esauriente risulta, tra le altre cose, che il sorsese si differenzia dal sassarese per alcuni tratti secondari e pertanto “converrà riunirli sotto l’unica denominazione di sassarese”3 e, facendo propria la tesi italianista di Wagner, sottolinea come un “vocalismo di tipo toscano-corso si sarebbe dunque sovrapposto ad un vocalismo sardo”.4

Particolarmente approfondita e accurata è l’analisi dedicata alla fonetica.

I contenuti di questo lavoro non sono stati resi noti alla generalità delle persone ma si può affermare con certezza che gli studi condotti sul nostro territorio dallo studioso svizzero, sono conosciuti in ambito scientifico, e particolarmente in ambito isolano, dai vari studiosi della lingua sarda (Leonardo Sole, Massimo Pittau, Antonio Sanna, Nicola Tanda e altri).

Diverse persone aiutarono Christian Garthmann nella sua ricerca su Sorso. In particolare il ricordo di Garthmann era vivo nella memoria del Signor Petronio Pani, classe 1928, col quale, in passato, ho avuto spesso il piacere di conversare. Alla mia domanda, tendente a conoscere l’occasione in cui aveva incontrato per la prima volta lo studioso, ha risposto:

“Ci siamo conosciuti casualmente; noi ragazzi, in quegli anni ci ritrovavamo abitualmente all’angolo tra via Umberto e via Bicocca; Christian è arrivato lì…, un ragazzone bello florido in calzoni di velluto…; si esprimeva in italiano e faceva un sacco di domande a tutti! Se avesse potuto avrebbe chiesto qualcosa anche agli animali, solo che loro non potevano rispondergli”.

L’impressione su Garthmann, che ho ricavato dalle parole entusiastiche di Petronio Pani, sebbene non sia stato sempre facile per lui assecondare le mie insistenti richieste di date e nomi, e ricordare esattamente ogni cosa a distanza di circa mezzo secolo, è quella di un instancabile ricercatore, di uno studioso che annotava meticolosamente ogni parola che gli veniva detta, ne trascriveva pronuncia e significato e, quando era possibile, scattava delle fotografie all’oggetto in questione.

Si era instaurato fin da subito un rapporto d’amicizia tra Christian e Petronio; quest’ultimo era persona dotata di fervida intelligenza, di grande curiosità verso le novità e amava incondizionatamente tutte le espressioni culturali della sua terra, e perciò non poteva sfuggirgli, nonostante la giovane età, il valore del lavoro che il “quasi coetaneo” svizzero stava conducendo sul dialetto sorsese (a causa della pronuncia chiusa e cantilenante siamo bonariamente canzonati dai vicini Sassaresi e Sennoresi).

Nel 1955 Garthmann alloggiava a Sorso presso la famiglia del Sacerdote Aristide Fais, in Piazza Sant’Agostino e, ogni tanto si vedeva con un collega: si trattava di un altro studente, allievo anch’esso del Wagner, il quale si stava occupando dello studio del dialetto del vicino paese di Sennori, in contemporanea col lavoro di Garthmann a Sorso.

Ho contattato Aristide Lai, nipote dell’anzidetto Don Fais, il quale, non essendo ancora nato all’epoca, ha conosciuto lo studioso svizzero soprattutto attraverso i racconti dei suoi familiari e per mezzo della corrispondenza epistolare intercorsa negli anni tra la sua famiglia e Garthman (qualche lettera, alcune foto, cartoline).

Emerge quindi indirettamente che lo studente Garthmann era solito alzarsi presto al mattino in modo tale da raggiungere i lavoratori che alle sei si riunivano in piazza Sant’Agostino, prima di andare in campagna per affrontare la giornata di lavoro (à ra zurradda). In questo modo riusciva ad affiancarsi a qualcuno disposto a parlare con lui, che intanto registrava pazientemente ogni cosa, e ne approfittava per seguire li zappadòri in campagna, vederli in azione e fissarne i movimenti con la macchina fotografica. Aristide Lai ha potuto conoscere Garthmann di persona solo intorno alla metà degli anni Ottanta quando lo svizzero, ormai in età avanzata, in occasione di uno degli ultimi viaggi in Sardegna, era andato a salutare la famiglia che lo aveva ospitato in gioventù.

Quelli del Signor Petronio Pani erano ricordi diretti:

“Christian era munito di macchina fotografica, qualche volta fotografava gli oggetti e poi chiedeva il loro nome dialettale…non sembrava seguire schemi ben precisi, oppure ero io che non conoscevo e non capivo il suo piano di lavoro; alcune volte verificava con me e con Nicola Tanda (ma più con

Nicola che con me) alcune parole che gli venivano dette nel corso della giornata e delle quali non capiva bene il significato!

Sorrideva il Signor Pani quando ripensava alle parolacce (irripetibili), alcune alludenti al sesso femminile, che Garthmann inconsapevolmente e diligentemente annotava sul suo taccuino per poi sottoporle di sera all’attenzione dei suoi amici! “C’è sempre stato il buontempone che ride alle spese degli altri!”.

Risulta comunque evidente che tutti in paese furono ben disposti ad aiutare Garthmann, stimato per i modi gentili, “aveva sempre paura di disturbare…”; il paese lo ha accolto bene perché destava curiosità e perché erano orgogliosi del suo interesse; inoltre erano incuriositi dalla sua ricerca e meravigliati per il fatto che lo straniero si interessasse al loro niente, agli oggetti e agli aspetti della loro vita materiale, alla quale loro stessi, alle prese con il duro lavoro giornaliero per la sopravvivenza, non sembravano dare un peso; “inizialmente era lui che faceva le domande, dopo non ne ha avuto più bisogno perché, al contrario, era la gente che gli andava incontro!”

Gli diedero la possibilità di fare delle foto, accompagnandolo perfino in campagna; alcune ( 40 circa), sono esposte permanentemente nell’ampio atrio della Biblioteca comunale “S. Farina”, e riguardano momenti della vita quotidiana, la panificazione, i lavori agricoli, la vendemmia, carri trainati da animali, il lavoro delle donne, il lavoro nell’aia, la pigiatura dell’uva, i lavori quotidiani che, durante la bella stagione, si svolgevano prevalentemente sull’uscio di casa: si ripulivano i legumi (soprattutto lenticchie) dalle impurità, si intrecciavano le foglie della palma nana, si lavorava la lana, eccetera.

Concluso il suo lavoro di ricerca, Garthmann è inevitabilmente ripartito in Svizzera mantenendo però contatti epistolari con le persone che più gli erano state vicine: con la famiglia Fais, che come precedentemente ricordato, è tornato a visitare mentre era in viaggio in Sardegna, e con il Signor Pani il quale conserva con grande cura una lettera che lo studioso gli spedì da Coira in Svizzera l’11 luglio del 1957:

“Caro Petronio,

è già molto tempo che ho lasciato la Sardegna, ma spesso ci ripenso. Intanto molte cose si sono cambiate. Ho finito gli studi e ho ottenuto la laurea. Dopo aver insegnato a diverse scuole sono stato nominato al liceo di Coira, dove insegno francese ed italiano. E da 3 mesi sono marito. Adesso sto ripassando la mia tesi di laurea sul dialetto di Sorso e vedo che ci sono tante cose da aggiungere e da correggere prima di farla stampare. Siccome tu ti interessavi molto al mio lavoro e che mi hai dato a Sorso un aiuto eccellente, mi rivolgo ancora una volta a te con tante domande.

Ti prego di rispondervi, ma soltanto se hai tempo e gusto”.

Vi allegava dei fogli che contenevano un elenco di parole dialettali, indicando all’amico sorsense il sistema per intervenire (per iscritto) a fianco di ciascuna parola: Sign in margine vuol dire che non conosco il significato di una parola, potresti aggiungerlo allora.

Et in margine vuol dire che ignoro l’etimologia, cioè l’origine di un vocabolo che mi interessa tanto. Vorresti scrivermi, se conosci una parola parente, sia in sorsense, sia in sassarese o logudorese o italiano?”.

Esiste? In margine vuol dire che io non son sicuro, se una parola esista veramente e ti prego di accertarlo con sì o no.

Talvolta non so la grafia giusta (p. e. due r o una sola) e ti prego di aggiustarla. Credo che per la risposta ci sia sempre abbastanza posto accanto alla domanda”.

È passato davvero troppo tempo da quando qualcuno ha osservato con interesse scientifico quella componente fondamentale del nostro patrimonio culturale rappresentata dal dialetto sorsese, dalla cui considerazione non si può prescindere se vogliamo salvaguardare e rafforzare la nostra identità di Sardi.

È sorprendente constatare oggi, il profondo impegno verso la lingua e i dialetti isolani da parte del Wagner e di molti suoi allievi, in un’epoca in cui non sussisteva neppure lontanamente il pericolo di una perdita della competenza linguistica da parte dei sardi.

Nel momento in cui accantonava il tema della lingua letteraria per focalizzare la sua attenzione sulle parlate locali, il glottologo tedesco indirizzò i suoi allievi, tra i quali Christian Garthmann, verso un sistematico e capillare lavoro sul campo affinché potessero entrare a stretto contatto, seppure per un breve periodo, con le società agro-pastorali che avevano generato tali dialetti. E così sono trascorsi oltre cinquant’anni dal soggiorno di Garthmann a Sorso e, per usare una sua espressione, nel frattempo “…molte cose si sono cambiate…”, non solo a Sorso ma in tutta la Sardegna e nell’intero mondo occidentale. Le cause che hanno indotto al cambiamento, determinando tra l’altro l’allontanamento delle nuove generazioni dalle tradizioni e dal lavoro nelle campagne (condotto a dire il vero con sistemi primitivi) sono molteplici e da ascrivere perlopiù alle influenze della cosiddetta società del benessere, che a Sorso si è manifestata per esempio con il boom economico successivo alla fondazione del polo industriale petrolchimico di Porto Torres nei primi anni Sessanta. La scolarizzazione di massa, le lusinghe e i modelli di comportamento propinati continuamente dai mass-media, sono tutti motivi che hanno spinto le persone a rispecchiarsi in culture altre. Si è andato allora manifestando il problema della lingua, della crisi dei dialetti, originata dal confronto con altre realtà, problema avvertito da linguisti, antropologi e sociologi i quali hanno iniziato a percepire la necessità di portare avanti un dibattito costruttivo per tentare di arginare l’entità del fenomeno, consci dello stretto legame esistente fra lingua e identità e della necessità di restare ancorati alle proprie radici per affrontare meglio il futuro.

Il continuo dibattito degli studiosi, è stato infine premiato, catalizzando l’attenzione del Governo sul problema della lingua sarda, che ha portato alla promulgazione della legge regionale sulla promozione e valorizzazione della lingua sarda,5 e della legge nazionale che detta norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.6 Queste due norme sono servite a contenere il rischio di danni maggiori al sistema linguistico isolano e, nel contempo, offrono i mezzi per il recupero, per la tutela e per la valorizzazione di tale patrimonio culturale. Ma il dettato normativo da solo non basta se non è accompagnato da un sufficiente interessamento della comunità, delle famiglie, alla valorizzazione del proprio dialetto, a mantenerlo vitale soprattutto presso i bambini e i giovani che ne stanno perdendo la competenza attiva. È importante inoltre che impariamo a non vergognarci di parlare in sorsese ed è altrettanto importante creare quelle situazioni affinché i bambini lo apprendano spontaneamente in famiglia. E il risveglio di tale interesse è demandato in primo luogo agli insegnanti che, avendo il privilegio di lavorare a stretto contatto con i bambini e ragazzi, hanno dunque la facoltà di mettere in atto una serie di iniziative e strategie per far capire loro l’importanza che la scuola stessa attribuisce alla parlata locale, attirando, per esempio, la loro curiosità sulla figura di un personaggio di cui forse non hanno mai sentito neppure parlare, Christian Garthmann, e spiegare così che questo signore “straniero”, non ha mai perso i contatti con Sorso, ha continuato a mantenere buoni rapporti di amicizia con le persone che lo avevano ospitato, e ha perfezionato nel corso degli anni la sua ricerca sul nostro dialetto e sulle nostre tradizioni dalla lontana Svizzera.

1 V. P. DELOGU, Progetto di modelli possibili di comunicazione del patrimonio archeologico-artistico del Comune di Sorso (SS), tesi di Laurea, Facoltà di Lettere e Filosofia, Sassari A. A. 2005/2006, Relatore Prof.ssa Gavina Cherchi.

2 Tesi pubblicata successivamente dall’autore: Die Mundart von Sorso, Abhandlung zur Erlangung der Doktorwurde der Philosophischen Fakultat I der Universitat Zurich, Zurig, 1967.

3 Sole, Leonardo, La lingua di Sassari: il problema delle origini, in AA. VV, Studi in onore di Massimo Pittau, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari, Sassari 1994, p. 56.

4 ibidem, p. 57.

5 L. R. n. 26 del 15/10/1997.

6 L. n. 482 del 15/12/1999.

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